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 D E S I G N • P R O C E S S 
 S T U D I O C H A R L I E 

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A C H E R O P I T A •
Il disastroso terremoto del 1783 distrusse gran parte della chiesa e del convento domenicano di Soriano. Tra le opere sopravvissute al cataclisma e alle razzie c’è la sezione di una colonna in marmo breccia rosso. Si tratta di una delle quattro colonne che ornavano l’altare maggiore della Chiesa di San Domenico. Questa colonna spezzata ha vissuto una storia complessa ed esemplare. Il marmo da cui è stata ricavata è il cosiddetto “africano”, uno dei marmi policromi largamente impiegati dai Romani. Le quattro colonne utilizzate nell’altare barocco risalgono infatti al III secolo d.C. e provengono, secondo una delle ricostruzioni, da Roma. Altri studiosi ipotizzano che provengano dal sito medievale di Mileto antica, ora in provincia di Vibo Valentia. Fu l’architetto Martino Longhi, romano, esperto in restauri, a portarle a Soriano per usarle nell’altare maggiore della chiesa dedicata a San Domenico, che gli fu commissionato intorno al 1638. L’altare di Soriano ebbe un gemello, costruito a Roma su progetto dello stesso Longhi. Questo secondo altare, ancora esistente, si trova nella Chiesa di San Carlo ai Catinari, ed è solo attraverso questo suo omologo che noi oggi possiamo sapere che aspetto avesse l’altare originale di Soriano, di cui è sopravvissuto solo qualche frammento. Ma le colonne non ornarono soltanto l’altare seicentesco: nel 1757 fu inaugurato il nuovo altare, su progetto dell’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro, che riutilizzò alcuni elementi del vecchio altare, tra cui, appunto, le quattro colonne in marmo breccia. L’altare settecentesco, inaugurato soltanto ventisei anni prima del terremoto che l’avrebbe distrutto, era ancora più sfarzoso del precedente, a simboleggiare il potere e il prestigio che nel corso dei decenni era stato acquisito dall’ordine dei domenicani di Soriano.
La ricchezza e la fama del convento di Soriano sono legate ad un quadro miracoloso che ritrae San Domenico e che, secondo il culto, fu donato ai domenicani sorianensi nel 1530 dalla Vergine Maria, accompagnata da Santa Caterina di Alessandria e da Santa Maria Maddalena. Il quadro, al quale si attribuivano diversi fatti miracolosi, fu creduto acheropita, ovvero non fatto da mano umana. Divenne noto in tutto il mondo cristiano dell’epoca e riprodotto nelle tele di numerosi pittori. L’altare maggiore della chiesa, con le sue quattro imponenti colonne romane, accoglieva e custodiva la preziosa tela acheropita. Dopo il terremoto, il convento e la chiesa sono rimasti nei decenni in stato di rudere e i resti delle opere marmoree abbandonate negli orti. Soltanto in tempi molto recenti si è dato il via a lavori di scavo e al recupero e riordino dei reperti.
Il nostro arazzo racconta la storia di questo frammento di colonna. Dei viaggi, dei riusi, delle visioni umane e divine, della potenza della storia e della natura, del prestigio e dell’abbandono: è come se in questo reperto sopravvissuto possa essere sintetizzata la realtà e il senso dei territori attraversati.
Come il quadro di San Domenico, ma in un senso più laico, anche la ‘decorazione’ della colonna di marmo breccia può essere considerata acheropita: non è fatta da mano umana, ma dalla materia. Nell’arazzo, la ‘decorazione’ della superficie della colonna è idealmente trasferita dal marmo al tessuto, da una materia ad un’altra. Il disegno che se ne ricava richiama movimenti tellurici, eruzioni vulcaniche, terremoti.
L’intero altare di Soriano fu replicato a Roma, noi oggi ne replichiamo uno dei pochi frammenti che ancora possiamo vedere e studiare.
S T U D I O C H A R L I E
Grazie a: Francesco Bartone, Maria Teresa Iannelli, Giuseppe Hyeraci, Francesco Cuteri, Ginevra Gaglianese.
 
 

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Published in diario di viaggio